19 ott 2012

Ecco Cosa Stanno Facendo A Mio Fratello..Una Truffa In Grande Stile!

Il reato di truffa

Art. 640cod. pen.: Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 100.000 (51,65) a 2 milioni (1.032,91) (c.p.649).

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire 600.000 (309,87) a 3 milioni (1.549,37):

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (c.p.32 quater) o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l`erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell`Autorità (c.p.661).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa (c.p.120-126), salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un`altra circostanza aggravante (c.p.61) .





Il reato in esame contempla l'aggressione al patrimonio altrui realizzata attraverso l'inganno che induce la stessa vittima ad autodanneggiarsi. Il bene giuridico protetto è quindi il patrimonio del soggetto raggirato.

Lo schema del reato comprende l'atto del porre in essere gli artifici e raggiri → l'induzione in errore → l'atto dispositivo volontario → il danno patrimoniale e profitto ingiusto.

Gli artifici e i raggiri devono essere tali da indurre il soggetto compiere un atto dispositivo del patrimonio che in assenza dei raggiri, non avrebbe posto in essere, altrimenti si finirebbe per perdere di vista la rilevanza causale che i raggiri devono avere nel soggetto che compie l'atto. In definitiva gli artifici e raggiri devono avere una effettiva idoneità ingannatoria, tale da indurre in errore il soggetto che a causa dei raggiri compie l'atto.

L'artificio è una manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna, provocata mediante la simulazione di fatti o circostanze in realtà inesistenti.

Il raggiro invece è un'attività simulatrice posta in essere con parole e argomentazioni che fanno scambiare il falso per il vero.

E necessario poi fare una valutazione della inevitabilità dell'errore in cui il soggetto ingannato cade; cioè deve constare che la vittima aveva senza sua colpa, fatto affidamento sulla credibilità dell'agente, per cui se un uomo di normale diligenza non avrebbe creduto all'agente, il reato di truffa deve essere escluso. La credibilità deve essere valutata in relazione alle circostanze esterne che devono essere tali da indurre inequivocabilmente qualsiasi soggetto a credere come vero quanto invece è falso, a credere come avvenuto un fatto che invece non è avvenuto. In ogni modo la giurisprudenza ha stabilito che solamente la grossolanità o inverosimiglianza dell'inganno escludono il reato.

L'omissione, il silenzio, la reticenza, sono comportamento idoneo a indurre in errore, ai sensi dell'art. 40 cod. pen. Sicuramente non tutte le omissioni sono comportamenti idonei ad indurre in errore, ma lo sono solo le omissioni di coloro che avendo l'obbligo giuridico di agire, non hanno agito; è il caso di coloro che assumono la posizione di garanzia, ma in relazione a ciò si rimanda alla trattazione dei reati omissivi.

L'attività ingannatoria deve indurre in errore il soggetto preso di mira; anche in questa sede è opportuno fare una distinzione fra errore e ignoranza; la situazione di colui che erra è diversa da quella di colui che ignora.

Colui che erra, pur non sapendo la realtà dei fatti, crede di sapere, per cui agisce sopra la sua situazione di ignoranza, colui che ignora, invece, non conosce la realtà e non crede di sapere, per cui non agisce in base ad essa. In base a questa corretta e precisa definizione di errore e ignoranza deve essere respinta l'opinione di coloro (vedi G. Fiandaca E. Musco, Diritto penale, parte speciale, I delitti contro il patrimonio, vol. II, tomo secondo, pag. 173) che in relazione all'idoneità dell'omissione ad indurre in errore un soggetto dicono che il silenzio non induce la vittima a credere in qualcosa di falso, ma lo lascia nel suo stato preesistente di ignoranza, infatti il silenzio può indurre il soggetto sia a rimanere inerme, senza agire, sia ad agire in base alla mancata azione di colui che aveva l'obbligo giuridico di agire; ed è in relazione all'atteggiamento del soggetto ingannato che questo silenzio viene ad essere inquadrato nell'errore o nell'ignoranza.

Un esempio può essere quello di colui che essendo per obblighi di lavoro tenuto ad avvertire l'impresa appaltatrice della vittoria dell'appalto, non lo fa impedendo alla suddetta impresa, che non interviene, di concludere il contratto, in collusione con l'impresa seconda arrivata, la quale in conseguenza dell'inadempienza della prima impresa si aggiudica l'appalto. In questo caso è chiaro che l'omissione dell'avviso della vittoria dell'appalto determina l'impresa prima arrivata a non agire, non intervenendo il giorno concordato per la conclusione del contratto, creando un danno patrimoniale verso questa impresa, avvantaggiando indebitamente l'impresa seconda arrivata, conseguendo un vantaggio patrimoniale egli stesso, in conseguenza della collusione; in questo caso l'artificio consiste nel omettere di avvertire l'impresa appaltatrice della vittoria dell'appalto. Il silenzio, l'omissione, di colui che aveva l'obbligo giuridico di agire, induce la vittima a credere positivamente qualche cosa, la perdita dell'appalto, inducendola in errore.

Per quanto riguarda il dubbio, è necessario dire che il dubbio concreto sulla veridicità dei fatti e affermazioni dell'ingannatore esclude la truffa, la quale avrebbe potuto essere evitata usando maggiore diligenza; il dubbio astratto invece non esclude la configurabilità della truffa, poichè in questo caso il soggetto anche usando maggiore avvedutezza non avrebbe potuto concretamente dubitare della veridicità dei fatti o delle affermazioni dell'agente.

La vittima dell'errore può essere anche una persona diversa dal soggetto passivo del reato.

In relazione all'atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal soggetto indotto in errore, è necessario dire che questo atto è volontario, ma basato sull'errore provocato dall'agente, per cui in assenza dell'errore non vi sarebbe stato nessun atto di disposizione patrimoniale, o tale disposizione sarebbe stata diversa. La giurisprudenza considera necessaria la presenza di un atto o comportamento del soggetto passivo, ma questo si ritiene possa consistere anche in una omissione.

Nel reato in questione ruolo centrale ha il danno patrimoniale quale conseguenza dell'induzione in errore, il danno patrimoniale può essere anche patito da persona diversa da quella ingannata, in tale caso il soggetto passivo del reato non è l'ingannato ma colui che subisce il danno patrimoniale.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale il concetto deve essere inteso in modo molto astratto, comprendente anche la deminutio patrimonii intesa in senso stretto (danno emergente, lucro cessante).

Il codice inoltre richiede la presenza del requisito del profitto ingiusto dell'agente ingannatore; il danno e il profitto devono essere accertati dal giudice in reciproca autonomia, infatti la fattispecie normativa prevede che debbano essere presenti entrambi per configurare il reato di truffa, potendo però essere dato il caso che al verificarsi del primo, danno patrimoniale, non consegua il secondo, guadagno ingiusto, con l'esclusione dell'applicabilità del reato di truffa.

Il profitto può consistere nel soddisfacimento di una qualsiasi interesse psicologico o morale.

Il beneficiario del profitto ingiusto può anche essere una terza persona, diversa dall'autore dell'inganno. Il profitto è ingiusto quando vi è la mancanza di un titolo di legittimazione, di una giusta causa, che renda lecito l'aumento patrimoniale.

Il reato si consuma solamente nel momento in cui viene conseguito il profitto ingiusto.

Il reato è a dolo generico.

dott. Flavio Takanen



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